E' importante ricordare che se usata in modo scorretto, la cannabis può avere effetti negativi, specialmente sul sistema nervoso di persone sensibili. Scopriamo di più sui vantaggi del CBD grazie alle informazioni fornite dagli esperti della Società Italiana di Farmacologia.
Cosa fa il CBD al cervello?
Il CBD, o cannabidiolo, è un composto presente nella cannabis che può influenzare il cervello in diversi modi senza causare effetti psicoattivi. Interagendo con il sistema endocannabinoide e altri sistemi di neurotrasmissione, il CBD può offrire una serie di benefici terapeutici.
Tra questi, la modulazione dei recettori endocannabinoidi, come i recettori CB1, che influenzano funzioni cerebrali come l'umore, la memoria e la percezione del dolore e può interagire con i neurotrasmettitori, come la serotonina, contribuendo a ridurre ansia e depressione.
Il CBD ha anche dimostrato di possedere proprietà antinfiammatorie e neuroprotettive, che possono proteggere il cervello da danni causati da infiammazione e stress ossidativo.
In alcuni casi, il CBD potrebbe essere utile nel trattamento di malattie neurodegenerative, come la malattia di Parkinson, l'Alzheimer e la sclerosi multipla. Al momento ci sono prove, seppur in corso di continui aggiornamenti, che suggeriscono che il CBD possa promuovere la neurogenesi, ovvero la formazione di nuovi neuroni nel cervello, offrendo potenziali benefici nel trattamento di disturbi neuropsichiatrici.
Dove agiscono i cannabinoidi?
Il CBD è un elemento presente nella cannabis che si collega al nostro sistema endocannabinoide, un sistema che si trova nel nostro corpo e regola molte funzioni, come il dolore, l'umore e l'appetito. Esistono due tipi di recettori nel sistema endocannabinoide, chiamati CB1 e CB2. I recettori CB1 si trovano principalmente nel cervello e aiutano a controllare varie funzioni del nostro cervello.
Il CBD non si collega direttamente a questi recettori, ma li influenza indirettamente, contribuendo a mantenere il nostro corpo in equilibrio e funzionare correttamente.
Attraverso queste interazioni, il CBD può aiutare in diverse situazioni e sintomi, come dolore, infiammazione, nausea, ansia e epilessia, senza causare effetti mentali, diversamente dal THC, un altro componente della cannabis.
Quali sono gli effetti benefici del cannabiolo al cervello?
Il cannabidiolo (CBD) è un composto presente nella cannabis che ha dimostrato di avere effetti benefici nel campo terapeutico, in particolare nel trattamento delle malattie neurodegenerative. Si è scoperto che il CBD favorisce la neurogenesi, ovvero la formazione di nuovi neuroni nel cervello, riducendo così i danni alle funzioni cognitive causati da età, malattia o traumi.
Ricerche condotte all'Università di Firenze hanno esaminato gli effetti del CBD e del THC (delta-9-tetraidrocannabinolo, il principale componente psicoattivo della cannabis) su disturbi neurodegenerativi come ictus ed epilessia. Attualmente, i farmaci disponibili per l'ictus sono limitati e il 30% dei pazienti affetti da epilessia sono resistenti ai trattamenti comuni.
Gli studi realizzati su modelli sperimentali in vitro hanno rivelato che, mentre il THC può peggiorare il danno delle cellule nervose, il CBD può ridurlo. Questi risultati suggeriscono che, oltre al suo impiego nel trattamento dell'epilessia pediatrica farmacoresistente, il CBD potrebbe essere un'opzione terapeutica promettente anche per il trattamento di altre malattie neurodegenerative.
Rapporto tra CBD e malattie neurodegenerative
Il CBD ha dimostrato di avere proprietà antinfiammatorie e antiossidanti, il che lo rende potenzialmente utile nel trattamento delle malattie neurodegenerative.
Queste condizioni, tra cui Alzheimer, Huntington, Parkinson e sclerosi multipla, sono caratterizzate da un progressivo deterioramento delle cellule nervose nel cervello.
Grazie alle sue proprietà neuroprotettive, il CBD può contribuire a rallentare la progressione di queste malattie e a ridurre l'aggravamento dei sintomi cognitivi. Inoltre, il CBD è stato studiato per migliorare la salute mentale dei pazienti affetti da queste condizioni.
Nella parte finale dell'articolo, approfondiremo ulteriormente come il CBD può influenzare specificamente le malattie neurodegenerative come Alzheimer, Huntington e Parkinson. Le ricerche attuali indicano che il CBD potrebbe essere una valida opzione terapeutica per coloro che soffrono di queste malattie.
CBD e malattia di alzheimer
La ricerca pubblicata nel 2018 sull'International Journal of Neuropsychopharmacology suggerisce che il CBD potrebbe avere il potenziale per rallentare il deterioramento cognitivo e migliorare la salute mentale nelle persone anziane affette da demenza, inclusa la malattia di Alzheimer.
L'Alzheimer è una malattia neurodegenerativa che causa la perdita progressiva della memoria e il deterioramento cognitivo, influenzando gravemente la capacità di svolgere le attività quotidiane. La malattia si caratterizza principalmente per la formazione di placche amiloidi e grovigli neurofibrillari nel cervello, che causano infiammazione, neurotossicità e danni ossidativi.
Poiché i trattamenti attualmente disponibili offrono solo un sollievo sintomatico limitato, il CBD sta emergendo come un potenziale strumento terapeutico per l'Alzheimer, grazie alle sue proprietà neuroprotettive, antiossidanti e antinfiammatorie. Studi in vitro e in vivo dimostrano che il CBD può ridurre gli indicatori principali della malattia, come la produzione di placche amiloidi e neurofibrille, esercitando un effetto neuroprotettivo.
CBD e malattia di Parkinson
La malattia di Parkinson è un disturbo neurodegenerativo legato all'età, caratterizzato da sintomi motori e non motori, tra cui disturbi del sonno, deterioramento cognitivo, schizofrenia, bradicinesia, tremore a riposo, rigidità e instabilità posturale. Essa implica anche problemi psichiatrici come psicosi, depressione e ansia. La caratteristica patologica principale del Parkinson è la perdita del sistema di neurotrasmissione dopaminergica.
I trattamenti attuali per la malattia si basano sull'uso di precursori della dopamina e inibitori del metabolismo della dopamina. Tuttavia, studi clinici e preclinici che analizzano l'utilizzo del CBD nel trattamento del Parkinson suggeriscono che dosi più alte di CBD assunte per via orale potrebbero migliorare i sintomi psicotici associati alla malattia, noti come sintomi non motori.
Pur essendo promettenti, sono necessarie ulteriori ricerche e studi clinici più ampi per determinare l'efficacia del CBD nel trattamento della malattia di Parkinson. Questi futuri studi potrebbero aiutare a comprendere meglio il ruolo del CBD nella gestione dei sintomi del Parkinson e a stabilire il dosaggio appropriato e il metodo di somministrazione per i pazienti affetti. Inoltre, le ricerche potrebbero anche esaminare gli effetti a lungo termine dell'uso del CBD in questi pazienti e valutare eventuali effetti collaterali o interazioni con altri farmaci attualmente usati nel trattamento del Parkinson.
Nel complesso, mentre gli studi attuali sul CBD e la malattia di Parkinson sono incoraggianti, è importante procedere con cautela e aspettare risultati più solidi da ulteriori studi clinici prima di considerare il CBD come un trattamento efficace per questa complessa condizione neurodegenerativa.
CBD e sclerosi multipla
La sclerosi multipla è una malattia autoimmune e neurodegenerativa che colpisce milioni di persone in tutto il mondo, in particolare giovani adulti. Causa il danneggiamento della mielina, la guaina protettiva delle fibre nervose, compromettendo la comunicazione tra cervello e corpo. La malattia provoca molti sintomi diversi e, in alcuni casi, può portare a perdita dell'indipendenza e disabilità.
Non esiste ancora una cura per la sclerosi multipla, ma diversi studi preclinici hanno mostrato che il CBD può aiutare a ridurre la neuroinfiammazione e i deficit motori rallentando l'iperattivazione del sistema immunitario. Oltre al CBD, altri componenti della cannabis, come il terpene β-cariofillene, possono contribuire all'effetto complessivo attraverso un "effetto entourage" e potenzialmente migliorare i sintomi e rallentare la progressione della malattia.
Studi clinici confermano i benefici del CBD e degli estratti di cannabis sui pazienti affetti da sclerosi multipla. Sono stati riportati miglioramenti dei sintomi, della qualità della vita e di comorbilità associate, come i disturbi del sonno, con effetti collaterali generalmente moderati. Tuttavia, è importante notare che sono necessarie ulteriori ricerche per comprendere appieno l'efficacia e la sicurezza del CBD e degli estratti di cannabis nel trattamento della sclerosi multipla.
Quale è l'effetto collaterale di maggior rilievo del cannabidiolo?
L'effetto collaterale più importante del cannabidiolo (CBD) riguarda la sua interazione con altri farmaci che l'individuo potrebbe assumere. Sebbene numerosi studi suggeriscano che i cannabinoidi, in particolare il THC, possano avere effetti negativi sullo sviluppo dell'individuo durante la gravidanza e l'adolescenza, il CBD può anche interagire con diversi tipi di farmaci nel corpo.
Per esempio, il CBD potrebbe alterare la degradazione di farmaci utilizzati per trattare l'epilessia, aumentandone i livelli ematici. Allo stesso tempo, potrebbe interagire con farmaci come metadone, usato per trattare la dipendenza da oppioidi, e alcuni antidepressivi, fluidificanti del sangue, stabilizzatori dell'umore e anestetici.
Il CBD può anche interagire con sedativi come benzodiazepine, fenobarbital, morfina e alcol, causando sonnolenza e torpore. Altri farmaci come la fenitoina e la rifampicina possono ridurre i livelli di CBD, mentre la levotiroxina, la warfarin e alcuni anticonvulsivanti potrebbero vedere un aumento delle loro concentrazioni nel sangue a causa dell'interazione con il CBD. Inoltre, l'acido valproico e il CBD possono entrambi causare lesioni epatiche, quindi la combinazione dei due potrebbe aumentare la probabilità di danni al fegato.