Ieri è arrivata finalmente la sentenza della corte di cassazione in merito alla cannabis light.
Secondo l’interpretazione delle Sezioni Unite, la legge non consente la vendita o la cessione a qualunque titolo dei prodotti «derivati dalla coltivazione della cannabis», come l’olio, le foglie, le infiorescenze e la resina.
La vendita e la cessione di queste sostanze, secondo i giudici, integrerebbe un reato previsto dal Testo unico delle droghe risalente al 1990, e dunque la legge varata nel 2016 non consentirebbe affatto la vendita o la cessione a qualunque titolo dei prodotti “derivati dalla coltivazione della cannabis” come, ad esempio, l’olio o le infiorescenze.
Questa sentenza ha gettato nello sconforto molti imprenditori che avevano investito sul settore e che si sentono vittima di un'ingiustizia: sono infatti più di 800 i negozi in Italia e tanti posti di lavoro sono a rischio.
Ma non tutto è perduto, anche perchè come per ogni sentenza, occorre aspettare di leggere attentamente le motivazioni, che si spera arriveranno in poche settimane. Inoltre alcune parti della sentenza della Corte di Cassazione risultano ambigue. Vediamo perchè.
La sentenza della Corte di Cassazione:i passaggi chiave
Nella sentenza della corte di Cassazione c è un punto chiave e che ancora dovrà essere chiarito: ci riferiamo al passaggio finale in cui si fa espressamente cenno al “divieto di vendita e in genere di commercializzazione al pubblico, a qualsiasi titolo, dei prodotti derivati dalla coltivazione della cannabis sativa, salvo che tali prodotti siano privi di efficacia drogante”
Questo punto quindi lascia aperte varie interpretazioni cosi come ha sottolineato l'avvocato penalista Carlo Alberto Zaina, che ha seguito la questione in prima persona:
“La sentenza della Corte di Cassazione lascia in realtà irrisolta la questione globale concernente quale sia la effettiva soglia drogante al di là della quale si commetta il reato. Ci si deve porre il problema se l’effetto drogante si computi in termini percentuali o in termini di peso assoluto. Temo che le SSUU abbiano aumentato l’incertezza. Non bisogna perciò abbattersi e farsi prendere da reazioni inconsulte”.
Bisognerà capire se questa sentenza vuole semplicemente specificare che non si può sforare il limite di 0,5 per cento di THC nei prodotti messi in vendita e in questo caso non cambierebbe la situazione rispetto a quello che è successo fino ad ora.
Ma alcuni tra quelli che lavorano nel settore temono che invece la conseguenza di questa sentenza potrebbe essere molto più estrema e cioè il divieto di tutta la commercializzazione di derivati della pianta come fiori, foglie, oli ed estratti.
Molti avvocati che lavorano a stretto con le associazioni di cannabis sono al lavoro per cercare di capire meglio la situazione e ne sapremo di più nelle prossime settimane, ma intanto andiamo a vedere le reazioni a questa sentenza, che sono state molte e da parte di esponenti politici di prestigio.
La sentenza della Corte di Cassazione:le reazioni
Molto significative le parole del senatore M5S Matteo Mantero, autore della proposta di legge per la legalizzazione della cannabis. Vediamo insieme alcune delle parti più significative delle sue parole:"
"Secondo quanto si è appreso, chi vende derivati della cannabis, vendita che non è compresa nell’ambito della legge 242 del 2016, commette il reato previsto dal testo unico del 1990, di spaccio in buona sostanza. Però, questo reato prevede la non integrazione nel caso in cui questi derivati non contengano sostanze dagli effetti droganti. Quindi, praticamente salverebbe le infiorescenze e i derivati che hanno un contenuto di Thc inferiore allo 0,5 per cento"
Sul punto, la più accreditata letteratura scientifica, anche internazionale, ha avuto modo di accertare come i derivati dalla Cannabis possano assumere un effetto stupefacente solo allorquando la concentrazione in essi di tetraidrocannabinolo/ Delta-9-THC superi lo 0,5%.
Una precedente sentenza della Cassazione aveva stabilito che se una cosa si può coltivare si può anche vendere, quindi per estensione è stato sancito il via libera, sempre per le sostanze che comunque non contengono un livello di Thc considerato stupefacente.
Per queste sostanze, dunque, il ragionamento è stato di questo tipo, ma formalmente la legge aveva “un buco normativo” perché non veniva specificato questo aspetto e dunque ora la Cassazione sembra sostenere che non essendo normato apertamente questo tipo di attività in qualche modo la vendita viola la legislazione. Però, rispetto al contenuto drogante, credo che in realtà indichi che si può continuare"
Molto significative anche le parole di Giovanni Rossi che fa parte di Legal Weed:
"La sentenza ribadisce e sottolinea che se la sostanza non è drogante (la soglia massima è 0,5 di Thc) è perfettamente vendibile. La stessa sentenza dice che il commercio non è legittimo a meno che non si operi nei dettagli della legge 242 del 2 Dicembre 2016 sulla Canapa.
Alla luce delle considerazioni, credo che l’attività svolta da noi operatori di settore è perfettamente legale e supportata dalla legge”.
Ovviamente non potevano mancare le parole di Salvini, che era chiaramente soddisfatto di questa sentenza:" Questo è un messaggio chiaro, la droga fa male, non ce ne sono di quelle che fanno più male ed altre che fanno meno male, mi spiace per i posti di lavoro e spero che possano essere riconvertiti"
Conclusioni
Questa sentenza ci ha lasciato sconcertati e soprattutto perplessi. Riteniamo che ancora le cose non siano troppo chiare e che comunque non è utile farsi condizionare troppo perchè ormai il cambiamento è inevitabile, nonostante le resistenze in Italia continuano.
Tra qualche settimana verranno diffuse le motivazioni della sentenza che ci permetteranno di capire quali saranno gli scenari futuri.