Il proibizionismo delle droghe è un tema controverso che da decenni alimenta il dibattito pubblico.
La questione centrale è se l'attuale politica di criminalizzazione delle sostanze stupefacenti sia effettivamente efficace nel contrastare il consumo e la diffusione delle droghe, o se invece contribuisca a renderle più attraenti, soprattutto per i giovani.
In questo articolo, esploreremo le ragioni per cui il proibizionismo potrebbe paradossalmente favorire l'interesse verso le droghe e come un approccio alternativo potrebbe essere più efficace.
Il Fascino del Proibito
Uno dei principali argomenti a favore di una revisione delle politiche sulle droghe è che il proibizionismo stesso contribuisce a renderle affascinanti.
Come ha osservato lo scrittore Oscar Wilde, "il modo migliore per liberarsi di una tentazione è cedervi". In altre parole, il fatto stesso che una sostanza sia proibita può aumentare il suo appeal, soprattutto tra i giovani e gli adolescenti, naturalmente inclini a sfidare le regole e a sperimentare.
Questo fenomeno è ben noto in psicologia come "reattanza psicologica", ovvero la tendenza a fare l'opposto di ciò che viene imposto. Come spiega lo psicologo Jack Brehm, "quando la libertà di scelta di una persona viene minacciata o eliminata, la motivazione a ripristinare quella libertà aumenta".
In questo senso, il proibizionismo delle droghe potrebbe paradossalmente stimolare la curiosità e il desiderio di provare sostanze illecite.
Il Mercato Nero e le Strategie di Marketing
Un altro aspetto problematico del proibizionismo è che, rendendo le droghe illegali, si crea un fiorente mercato nero controllato da organizzazioni criminali.
Queste ultime, per massimizzare i profitti, adottano strategie di marketing aggressive per attirare nuovi consumatori, soprattutto tra i giovani.
Come ha evidenziato il sociologo Howard Becker nel suo classico studio "Outsiders", i distributori di droghe illegali hanno tutto l'interesse a creare una cultura attraente intorno al consumo di stupefacenti, presentandolo come un'esperienza eccitante e trasgressiva.
Questo approccio è particolarmente efficace con gli adolescenti, che attraversano una fase di costruzione dell'identità e sono più vulnerabili alle pressioni sociali.Inoltre, l'illegalità delle droghe fa sì che la loro qualità e purezza non siano controllate, esponendo i consumatori a rischi maggiori per la salute.
Come ha sottolineato il medico e attivista Andrew Weil, "il problema con le droghe illegali non è che siano illegali, ma che siano incontrollate".
L'Esempio dell'Eroina
Un caso emblematico di come il proibizionismo possa rendere una droga più attraente è quello dell'eroina.
Se questa sostanza non fosse stata demonizzata come "eroina" ma semplicemente presentata come un farmaco, probabilmente non avrebbe attirato l'interesse di tanti giovani.
Come ha osservato il giornalista Johann Hari nel suo libro "Chasing the Scream", l'eroina è stata a lungo utilizzata come antidolorifico senza causare particolare allarme sociale.
È stato solo quando è stata proibita che ha assunto l'aura di droga "pericolosa" e quindi affascinante per alcuni. Hari cita l'esempio del Portogallo, che ha depenalizzato il possesso di tutte le droghe nel 2001, trattandolo come un problema di salute pubblica anziché criminale.
Di conseguenza, il consumo di eroina e i decessi per overdose sono diminuiti drasticamente.
La Distinzione tra Droghe Leggere e Pesanti
Un altro problema del proibizionismo è che, mettendo tutte le droghe sullo stesso piano di illegalità, si crea confusione tra sostanze con effetti e rischi molto diversi.
In particolare, l'accomunare la cannabis alle droghe pesanti come eroina e cocaina può paradossalmente favorire il passaggio dalle prime alle seconde.
Come ha evidenziato il sociologo Erich Goode, "quando si dice ai giovani che la marijuana è tanto pericolosa quanto l'eroina, e poi scoprono per esperienza diretta che non è vero, possono concludere che anche l'eroina non sia così rischiosa come viene dipinta". In questo senso, una politica che distinguesse tra droghe leggere e pesanti, legalizzando o depenalizzando le prime, potrebbe essere più efficace nel prevenire il consumo di quelle più dannose.
Questa tesi è supportata da diversi studi, tra cui una ricerca condotta in Francia che ha mostrato come la legalizzazione della cannabis potrebbe ridurre il consumo di alcol e tabacco tra i giovani.
Inoltre, un rapporto del Cato Institute ha evidenziato che negli stati americani che hanno legalizzato la marijuana per uso ricreativo, il consumo di oppioidi e i decessi per overdose sono diminuiti significativamente.
La "Guerra alla Droga" dell'ONU: 60 Anni di Violazioni dei Diritti Umani
In un documento congiunto pubblicato il 26 giugno scorso, rappresentanti di tutti i gruppi di speciali di esperti delle Nazioni Unite hanno lanciato un accorato appello alla comunità internazionale affinché si ponga fine alla "guerra alla droga", sostituendola con politiche che, pur mantenendo un controllo delle sostanze stupefacenti, rispettino pienamente tutti i diritti umani.
Gli esperti si appellano alla comunità internazionale perché si sostituiscano "le punizioni con la cura e si promuovano politiche che rispettino, proteggano e realizzino i diritti di tutte le comunità". Dopo 60 anni, sarebbe utile che l'Organizzazione delle Nazioni Unite non agisse più a compartimenti stagni e, soprattutto, in violazione dei suoi principi fondamentali e fondativi.
Il documento evidenzia come la "guerra alla droga" mini la salute e il benessere sociale, impiegando risorse pubbliche senza sradicare la domanda o il mercato delle droghe illegali.
Senza mai chiamarlo tale, finalmente si imputa al proibizionismo la nascita di narco-economie locali, nazionali e regionali che erodono risorse allo sviluppo lecito di quelle stesse comunità. Il rapporto fa seguito a un documento del 2021 del gruppo di lavoro sulla detenzione arbitraria che aveva denunciato come in molte zone del mondo la "guerra alla droga" provochi incarcerazioni di massa, profili razziali, perquisizioni e sequestri, detenzione preventiva eccessiva, violazioni di leggi e procedure oltre che condanne sproporzionate e criminalizzazione di chi usa le sostanze.
Violazioni di diritti umani che si aggravano quando perpetrate nei confronti di gruppi più fragili come donne, bambini e minoranze e in paesi non democratici.
In 60 anni di leggi e politiche applicate senza alcuna valutazione localmente quanto a livello transnazionale, ci viene ricordato che tutti i diritti umani sono stati conculcati: lavori forzati, tortura, giusto processo salute (comprese le cure palliative per cui le Convenzioni ONU erano state scritte), discriminazioni di ogni tipo fino a colpi mortali a culture e libertà di espressione, religione, associazione e all'ambiente. Non di rado, e non solo in regimi autoritari, si assiste a torture e maltrattamenti, oltre che mancanza di garanzie di un processo equo.
La lista prosegue con uccisioni extragiudiziali, come nelle Filippine, fino al ricorso alla pena di morte – in 30 paesi. È bene chiarire, se mai ce ne fosse bisogno, che gli esperti dell'ONU si riferiscono a condotte governative e non della criminalità organizzata.
L'abuso del diritto penale per punire chi traffica o usa sostanze proibite è, per eccellenza, la pena di morte, che, per il diritto internazionale, può essere comminata solo per i "crimini più gravi" come l'omicidio intenzionale.
Uno dei principi fondamentali dei diritti umani codificato in decine di trattati i cui strumenti di ratifica sono stati depositati al Palazzo di Vetro è la "non discriminazione".
Leggendo il documento se ne desume che il "controllo internazionale delle droghe" è fonte inesauribile di discriminazioni dovunque e contro chiunque: persone di origine africana, popolazioni indigene, bambini e giovani, persone con disabilità, anziani, e chi vive con l'HIV/AIDS. Inoltre lesbiche, gay, bisessuali, transgender e intersessuali, senzatetto, sex workers, migranti, disoccupati ed ex detenuti.
Gli esperti segnalano una crescente penalizzazione nei confronti delle donne sempre più coinvolte in tutta la catena dalla produzione alla vendita al dettaglio.
Eppure l'ONU stessa, nell'adottare la posizione comune di tutto il sistema in materia di droghe, ha ricordato che l'uso personale di sostanze illecite dovrebbe essere trattato, eventualmente, come una questione sanitaria da affrontare con politiche basate sui diritti umani, tra cui educazione alla salute pubblica, fornitura di cure – anche per la salute mentale – assistenza, sostegno, riabilitazione e programmi di transizione/reinserimento.
In una formula: la riduzione del danno, perché somministrata su base volontaria informata.
Non è la prima volta che degli esperti indipendenti si appellano alla "comunità internazionale" affinché si invertano scelte riaffermate per inerzia.
Questo documento in particolare urge che "le punizioni" vengano sostituite con la cura e si promuovano politiche che rispettino, proteggano e realizzino i diritti di tutte le comunità. Dopo 60 anni di proibizionismo, l'ONU dovrebbe riformare radicalmente il proprio modo di agire, facendo tesoro delle critiche costruttive di chi analizza l'impatto dell'interpretazione da populismo penale delle tre Convenzioni che, ormai è patente, hanno fornito giustificazioni a sistematiche violazioni dei suoi principi fondamentali e fondativi.
È evidente come l'approccio dell'ONU alla "guerra alla droga" abbia portato a conseguenze disastrose in termini di diritti umani. La criminalizzazione e la stigmatizzazione di chi fa uso di sostanze hanno creato un clima di paura e discriminazione, rendendo difficile per queste persone accedere a servizi sanitari e sociali essenziali. Inoltre, le politiche repressive hanno spesso colpito in modo sproporzionato le comunità più vulnerabili e marginalizzate, aggravando le disuguaglianze esistenti.
È giunto il momento di un cambiamento di paradigma nelle politiche sulle droghe a livello globale. L'ONU e i suoi Stati membri devono abbracciare un approccio basato sui diritti umani, che metta al centro la salute e il benessere delle persone.
Ciò significa decriminalizzare il consumo personale di droghe, investire in programmi di riduzione del danno e garantire l'accesso a servizi di trattamento e assistenza di qualità per chi ne ha bisogno.
Inoltre, è fondamentale affrontare le cause profonde che spingono le persone verso il consumo problematico di sostanze, come la povertà, l'emarginazione sociale e i traumi psicologici. Solo attraverso politiche sociali inclusive e una maggiore attenzione alla prevenzione e all'educazione sarà possibile costruire comunità più sane e resilienti.
La "guerra alla droga" ha fallito sotto ogni punto di vista: non ha ridotto la disponibilità delle sostanze illecite, ha causato enormi sofferenze umane e ha eroso la fiducia nelle istituzioni. È ora che l'ONU e la comunità internazionale riconoscano questo fallimento e intraprendano un nuovo percorso, basato sui diritti umani, la scienza e la compassione.
Solo così potremo costruire un futuro in cui nessuno venga lasciato indietro e in cui la dignità di ogni persona sia rispettata e tutelata.