La dipendenza da cannabis è una condizione che comporta un’estrema difficoltà da parte del soggetto assuntore, di controllare in maniera ponderata l’uso di tale sostanza: essa comporta malessere generale, ansia e sovente depressione, caratteristiche tipiche che emergono in caso di astinenza nonché sintomatologie che inducono al desiderio di assumere una quantità sufficiente a soddisfare il bisogno percepito.
Arginare tale problematica è possibile sfruttando specifiche terapie psicologiche e farmacologiche, agendo prima che aumentino i rischi di incorrere in conseguenze di notevole entità a carico del sistema cerebrale.
Noi di CBDMania attraverso questa guida, vogliamo mostrarvi in maniera dettagliata, tutti i fattori che contribuiscono a generare la dipendenza da marijuana.
Dipendenza da cannabis: quando insorge e che sintomi ha
Cannabis e hashish sono sostanze ormai ampiamente diffuse: analogamente anche la dipendenza che i cannabinoidi, principi attivi comunemente presenti nella marijuana, possono generare, rappresenta un fenomeno in crescita. Sebbene tuttavia tale scenario non debba generare particolare allarmismo, è opportuno conoscere i meccanismi di intossicazione dati dall’abuso di cannabis, gli stessi che tendono generalmente a manifestarsi attraverso un senso di euforia e benessere, dato essenzialmente dal THC o tetracannabidiolo, a cui segue disinibizione, fame chimica, incremento dell’attività sessuale, secchezza delle fauci, il tutto combinato ad alterazioni legate alla percezione e alle performance sia cognitive che motorie.
Sono due ad oggi le due tipologie di recettori cannabinoidi identificati: i CB1 e i CB2, fondamentali nello studio dei relativi stadi legati alla dipendenza da cannabis poiché in grado di influenzare in maniera significativa gli effetti generalmente dati dall’assunzione, identificati solo dopo la scoperta dei cosiddetti “endo-cannabinoidi” anandamidee 2-AG che costituiscono quella che è possibile considerare come la “marijuana naturale” presente comunemente nell’organismo umano
Il sistema endo-cannabinoide assume dunque una notevole rilevanza nel normale funzionamento dell’organismo, questo poiché ne regola molteplici funzioni quali l’appetito, le funzionalità endocrine, la percezione del dolore così come la gratificazione e ancora il controllo del movimento, quelle legate al sistema immunitario, gli stimoli sessuali, il controllo motorio, lo sviluppo cerebrale, e tutte le funzioni cognitive principali quali memoria, apprendimento e concentrazione.
Un eventuale disordine a carico del sistema endo-cannabinoide, provocato appunto dall’assunzione di cannabinoidi, può influire in maniera significativa sul sistema nervoso, specie durante la fase di sviluppo e l’adolescenza.
Nel 1995 Wayne Hall e i suoi collaboratori, all’interno della più completa monografia sugli effetti dati dall’utilizzo di cannabis, ha descritto in maniera dettagliata i possibili effetti e relative conseguenze acute e croniche così come fisiche e psichiche associate all’abuso di cannabinoidi: ansia, panico, paranoia, possibili ritardi cognitivi e disturbi a carico della memoria e dell’attenzione sono tra le manifestazioni più frequenti date dalla dipendenza da marijuana così come possibile appare l’eventuale compromissione delle funzioni psicomotorie con conseguente rallentamento dei riflessi e della percezione della realtà.
La cannabis può infatti compromettere il controllo muscolare così come i tempi di reazione, rendendo difficile anche portare a termine compiti generalmente molto semplici così come più complessi.
Da non sottovalutare anche il senso di disinibizione, la stessa che compare tra gli effetti acuti dati dall’abuso di cannabis, la quale tende a comportare un’eccessiva disinvoltura e relativa sottovalutazione di eventuali rischi.
Ad aggravare ulteriormente tale scenario, anche la possibilità che si manifestino sintomatologie psicotiche, anche se generalmente solo su soggetti già predisposti, così come patologie a carico dell’apparato respiratorio, bronchiti e probabili neoplasie maligne. Ulteriori effetti coerenti con l’abuso di cannabis e relativa dipendenza possono manifestarsi mediante una riduzione delle capacità lavorative e un rendimento scolastico ridotto, specie negli adolescenti. Tale status comporta infatti l’incapacità di sospendere l’assunzione, tenendo sotto controllo l’abitudine all’uso, questo nonostante appaia la consapevolezza degli effetti negativi che potrebbero derivarne, e il desiderio di smettere:
la ridotta considerazione di tale problematica dimostra l’incapacità di comprendere la reale concretezza dei possibili rischi ed effetti negativi che una dipendenza comporta.
I principali effetti della cannabis sul cervello umano
Come sottolinea la Fondazione Umberto Veronesi negli ultimi vent’anni il consumo di cannabis a scopo ricreativo sembra aver subito un netto incremento. Tuttavia, sebbene gli effetti che la marijuana comporterebbe all’organismo risultano ancora piuttosto nebulosi e poco chiari, compare quella che po' essere di fatto considerata una certezza: l’assunzione abituale di marijuana, i cui effetti sono riconducibili in particolar modo al THC in concentrazioni generalmente attestate tra l’0,5 e il 20% può influenzare la struttura cerebrale e alterarne in qualche modo le più comuni funzioni cognitive.
Ad avvalorare tale tesi è uno studio pubblicato su Proceedings of the National Academy of Sciences che per la prima volta monitorato tutte le anomalie a carico della struttura cerebrale e relative funzioni in un campione di assuntori di cannabis abituali. Tale ricerca avrebbe rivelato come tali anomalie subirebbero variazioni in funzione dell’età legata al primo utilizzo e la durata dell’assunzione nel tempo. Il
gruppo di ricerca del Center for Brain Health dell’Università del Texas ha altresì valutato 48 soggetti adulti assuntori di almeno 3 spinelli al giorno, unitamente a 62 non consumatori di pari età e medesimo genere: effettuando differenti test cognitivi e risonanze magnetiche, sarebbe emerso che proprio gli assuntori cronici presenterebbero un quoziente intellettivo inferiore rispetto ai non consumatori, unitamente a un ridotto volume della corteccia orbitofrontale, coinvolta nei meccanismi che provocano la dipendenza. Tuttavia le due “scoperte” sembrerebbero non essere connesse tra loro: non esiste infatti, quantomeno per il momento, un nesso tra capacità cognitive limitate e volume cerebrale ridotto.
Tale studio non è tuttavia risolutivo e non da adito ad alcuna certezza, complice il numero esiguo di soggetti prese in esame e non conferma la connessione oggettiva tra i dati raccolti e il consumo ricreativo di marijuana.
Cause e caratteristiche della dipendenza da cannabis: chi sono i soggetti a rischio?
La dipendenza da cannabis si identifica con l’incapacità di sospendere l’assunzione della sostanza, pur detenendone il desiderio, comportata da un’alterazione dei meccanismi che coinvolgono i sistemi biologici e regolativi, complice l’utilizzo prolungato e costante di tale sostanza, la quale si localizza sia a livello del sistema nervoso che dell’organismo nella sua totalità.
Due sono le tipologie di dipendenza riscontrabili: quella di tipo fisico responsabile dei caratteristici sintomi dati dall’astinenza che si riflettono sul corpo, dovuta al progressivo adattamento alla marijuana da parte dei sistemi metabolici di astinenza e quella di tipo psicologico causata invece da un’iperstimolazione dei centri di ricompensa del cervello, responsabile del desiderio della sostanza stessa. Se la dipendenza fisica tende a risolversi in tempi relativamente brevi e in maniera autonoma, quella psicologica appare maggiormente significativa richiedendo maggiore impegno da parte del soggetto assuntore, unitamente a trattamenti specifici che ne arginino la sintomatologia.
La dipendenza da cannabis sativa tende ad essere particolarmente frequente nei soggetti che utilizzano tale sostanza in massicce quantità e in maniera continuativa: questo può comportare assuefazione così come i caratteristici sintomi d’astinenza qualora il soggetto tenti di ridurne il consumo. Questo avviene poiché il consumo abituale e assiduo di erba, tende inevitabilmente a sviluppare una certa tolleranza agli effetti del THC, causando veri e propri cambiamenti nelle funzionalità messe in atto dai recettori cannabinoidi.
Molteplici sono i fattori che possono sviluppare dipendenza da cannabis: numerose ricerche hanno dimostrato come tra le cause principali che possono influenzarne le dinamiche, compaiano non solo l’utilizzo frequente in età adolescenziale, ma anche la sofferenza emotiva, le condizioni economiche critiche così come la frequentazione di compagnie che utilizzano droghe e ancora, la facile reperibilità della sostanza. Prove evidenti attestano inoltre che i soggetti fumatori appaiono maggiormente predisposti rispetto a chi non è solito fumare. Oltre agli assuntori abituali che utilizzano quantità di cannabis particolarmente elevate, ad alto rischio appaiono dunque anche gli adolescenti proprio a causa del precoce avvicinamento alle sostanze stupefacenti, i quali possono facilmente incorrere nei deleteri effetti a carico dello sviluppo neuronale, con conseguenti disturbi di tipo cognitivo.
Come viene curata la dipendenza da cannabis
È opportuno specificare che quando si parla di dipendenza da cannabinoidi, in genere non si deve interpretare tale condizione come un comportamento patologico volto a soddisfare il desiderio legato alla sostanza, ma piuttosto come un complesso di situazioni psicologiche sovente preesistenti al consumo di marijuana, che contribuiscono ad amplificarne la percezione del bisogno.
Se di fatto l’astinenza da cannabis può generare manifestazioni fisiche e psicologiche alquanto spiacevoli quali ansia, depressione, irrequietezza e variazioni dell’umore, una terapia psicologica che includa ad esempio la psicoterapia comportamentale permette nella maggior parte dei casi, di arginare tali problematiche, riducendo progressivamente il desiderio di assumere cannabis, provocato dall’astinenza stessa, grazie al totale controllo da parte del soggetto, sull’utilizzo della sostanza.
Tuttavia in casi di dipendenza che presentino manifestazioni più importanti e significative, in genere si può ricorrere all’utilizzo di farmaci appositamente concepiti per il trattamento dell’abuso di cannabis: sostanze come il dronabinolo ad esempio, permette di ridurre i sintomi dati dalla sospensione e riduzione dell'uso della cannabis, agendo da agonista sui recettori cannabinoidi e simulando i medesimi effetti che proprio i cannabinoidi producono sul cervello.
L’entacapone è invece in grado di ridurre il desiderio di marijuana senza comportare significativi effetti collaterali, analogamente all'acetilcisteina o NAC in grado di mitigare il bisogno di assumere cannabis in maniera sostanziale. Tutte le sintomatologie costituite da stati depressivi e di ansia a causa dell’ossessiva ricerca di cannabis, possono altresì essere trattate mediante psicofarmaci SSRI, ovvero inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina.
Cannabis e adolescenti: quali problemi possono insorgere e come fumarla in sicurezza
È ormai risaputo che, proprio la cannabis da decenni rappresenti la sostanza maggiormente consumata da giovani e adolescenti: tuttavia rispetto al passato sono significative le differenze riscontrabili ad oggi. Attualmente la marijuana appare decisamente più potente, complice la ricerca costante di nuovi ibridi in grado di garantire alte concentrazioni di THC o tetracannabidiolo, principio attivo psicotropo responsabile dei relativi effetti euforizzanti così come dello sballo.
Oggi non è infatti difficile reperire cannabis la cui percentuale di principio attivo si attesta dall’8 al 17% circa, quasi il doppio rispetto anche solo a una decina di anni fa, con relative spiacevoli conseguenze per chi sceglie di assumerla. Uno scenario che allarma la comunità scientifica che, attraverso studi e ricerche, ha potuto constare come lo sviluppo di una dipendenza, aumenti il rischio di incorrere in disturbi psicotici, ansia e depressione, specie se la sostanza assunta appare particolarmente aggressiva.
Riccardo Gatti, Direttore del Dipartimento Dipendenze dell’Asst Santi Paolo e Carlo di Milano afferma che proprio il tetracannabidiolo agisce su specifici recettori presenti nelle aree del cervello deputate alle funzioni complesse quali la percezione del piacere, la capacità di giudizio, di apprendere, di memorizzare unitamente alla motricità, comportando effetti solo apparentemente piacevoli che a lungo termine possono tuttavia determinare un disequilibrio cerebrale e danni potenzialmente permanenti qualora il soggetto assuntore sia ancora in fase di sviluppo.
Alcuni ricercatori della Oxford University con sede in Canada hanno invece dimostrato come proprio gli adolescenti, di età inferiore a 18 anni, assumendo cannabis sativa corrano il rischio cedere a stati ansiosi e depressi unitamente a intenti suicidari nel corso della loro vita. Proprio per questo sostengono che la consapevolezza e l’educazione volta a promuovere la conoscenza dei relativi effetti nocivi, siano fondamentali per prevenire le spiacevoli conseguenze date dalla dipendenza.
Nulla tuttavia è ancora certo: la ricerca prosegue solerte al fine di offrire informazioni certe circa i reali danni che può determinare la dipendenza da marijuana. Tuttavia per fumarla in sicurezza è necessario seguire le regole fondamentalmente dettate dal buon senso: è importante non dare spazio agli eccessi ed evitare gli abusi, prediligendo ad esempio l’uso di cannabis light o marijuana legale e derivati depotenziati che lascino spazio al CBD, principio attivo ad azione rilassante e distensiva, oggi ampiamente utilizzato anche a scopo terapeutico. Uno spinello ogni tanto, non ha mai fatto male a nessuno, sempre usando la testa!