La cannabis rappresenta da sempre una delle specie botaniche più discusse, che vanta una storia millenaria strettamente correlata a quelle che di norma sono le relative caratteristiche peculiari. Nel corso del tempo l’uomo ne ha identificato molteplici utilizzi tutti connessi alle sue straordinarie qualità che contribuiscono a rendere tale pianta perfetta per uso ricreativo, terapeutico e addirittura religioso, complici i suoi noti effetti psicoattivi.
E se fu il botanico svedese Carl Nilsson Linnaeus nel 1753 la classificò inizialmente sotto un’unica specie definita cannabis sativa, fu di fatto Jean-Baptiste de Lamarck a distinguere la canapa nelle due specie differenti, sativa e cannabis indica solo 13 anni più tardi.
Quella che comunemente oggi viene dunque chiamata cannabis indica è una varietà scoperta in India, regione da cui ha assunto il nome attingendo proprio dal prefisso “indi”: oggi ampiamente diffusa in Paesi quali Pakistan, Tibet, Libano, Marocco e Afghanistan, si distingue dalla cannabis sativa non solo per la caratteristica struttura fisica della pianta ma anche e soprattutto per l’alta concentrazione di CBD, che rende la specie perfetta in particolar modo per l’impiego terapeutico. Eccone dunque tutte le caratteristiche, proprietà, effetti e quando contribuisce a distinguere la cannabis indica dalla cannabis sativa.
Aspetto e principali caratteristiche della cannabis indica
La cannabis Indica è una varietà di canapa tipicamente originaria di zone quali l'Afghanistan, il Pakistan, l’India settentrionale, l'Hindu Kush così come di alcune aree dell'Europa orientale. Tuttavia la regione himalayana del Karakorum rappresenta il luogo originario della più pura genetica indica, esportata poi in Occidente dai primi hippies che viaggiarono in Asia negli anni '60 e '70 e visitando quei luoghi e incontrando i coltivatori locali da cui ne reperirono i semi. Gran parte di tali luoghi si identificano in aree isolate geograficamente, dove di norma ogni profilo genetico può essere coltivato e mantenuto puro con estrema facilità: grazie a questo fattore è pertanto possibile riscontrare notevoli differenze tra i vari genotipi, sebbene coltivati in valli diverse appartenenti alla medesima area.
Con l’introduzione dei primi ceppi di indica, importanti in occidente negli anni ’60, i coltivatori hanno di fatto avuto l’opportunità di sfruttare le nuove caratteristiche genetiche per rendere le piante di canapa sativa più adatte alla coltivazione indoor: così sono nati i primi ibridi indica – sativa, con l’obiettivo principale di ridurre le dimensioni delle piante così come le tempistiche legate alla fioritura proverbialmente più lunga.
La cannabis indica è stata dunque descritta per la prima volta e così nominata dal naturalista francese Jean-Baptiste Lamarck che nel 1785 ha così identificato la varietà autoctona dell’India, da cui ha conseguentemente assunto anche il nome. Ad oggi è dunque rappresentata da specifiche caratteristiche fenotipiche che rendono tale cultivar di marijuana totalmente differente rispetto alla conosciuta Canapa Sativa: piante non particolarmente alte e prevalentemente cespugliose, foglie spesse, più rugose e dalle punte meno lanceolate rispetto alla specie sativa e un periodo di fioritura relativamente breve da 45 a 65 a dispetto tuttavia di una fase vegetativa più lenta.
Tutte queste caratteristiche contribuiscono a rendere i ceppi di cannabis indica, una soluzione particolarmente versatile, adatta alla coltivazione prevalentemente indoor ma anche outdoor: se coltivata in ambiente domestico, presenta infatti il vantaggio di determinare piante basse e piuttosto compatte, non particolarmente ramificate: la relativa crescita infatti risulta piuttosto ridotta e ogni pianta presenta un numero esiguo di rami laterali piuttosto robusti, costituiti da uno stelo principale dal quale dipende quasi il 100% della resa in termini di successive infiorescenze. Il periodo di fioritura estremamente rapido, rende la specie indica perfetta per i coltivatori alle prime armi, riducendo le probabilità che possano comparire parassiti o manifestarsi eventuali malattie a carico del fogliame.
Medesimi vantaggi anche nella coltivazione outdoor, dove piante compatte e tendenzialmente di piccole dimensioni risultano adatte a coltivazioni terrazzate e facilmente mimetizzabili. Lo sviluppo e la fioritura precoce che di norma si attua da metà settembre a inizio ottobre consente inoltre la raccolta prima che si manifestano le condizioni climatiche avverse tipiche dell’autunno. E se i ceppi indica risultano generalmente resistenti agli insetti e alle infestazioni, di contro si rivelano particolarmente sensibili agli attacchi da parte di muffe e funghi: i germogli particolarmente compatti possono essere compromessi dalle piogge così come dagli alti livelli di umidità.
Attualmente gran parte delle varietà prevalentemente commerciali di cannabis, sono costituite da geni Indica in virtù degli innumerevoli vantaggi dati dalla specie: tuttavia quelle che ne sono le tipiche caratteristiche organolettiche contribuiscono a renderla forse meno apprezzata rispetto alla nota Cannabis Sativa, nonostante le innumerevoli varietà mostrino gusti e sentori differenti e sempre apprezzabili, che possono spaziare dal dolce/fruttato al terroso/speziato o muschiato. Tradizionalmente però i ceppi di cannabis indica sono stati prevalentemente impiegati nella produzione di hashish, complice la notevole produzione di resina a carico della pianta.
Proprietà ed effetti della cannabis indica
I molteplici ceppi di cannabis che includono la specie indica, si distinguono in particolar modo per il caratteristico contenuto individuale di cannabinoidi e terpeni, composti in grado di determinare gli effetti complessivi dati dal ceppo stesso. Dozzine sono di fatto i composti chimici chiamati appunto cannabinoidi presenti nella marijuana: il THC o tetracannabidiolo è il principale composto ad azione psicoattiva presente, direttamente responsabile del tipico stato di euforia associato al consumo di cannabis, così come il CBD che, nonostante non presenti effetti psicoattivi può comunque generare molteplici benefici fisici, quali la riduzione del dolore e della nausea, la prevenzione delle convulsioni e l'allentamento dell'emicrania.
Presente poi il CBN o cannabinolo, impiegato per alleviare sintomi ed effetti collaterali tipici di patologie neurologiche quali epilessia, convulsioni e rigidità muscolare incontrollabile, il THCA o acido tetraidrocannabinolo, simile al THC del tutto privo di effetti psicoattivi. I suoi potenziali benefici includono la riduzione delle infiammazioni date dall’artrite così come dalle patologie autoimmuni, contribuendo inoltre a ridurre i sintomi di condizioni neurologiche quali il morbo di Parkinson e la SLA.
In ultimo il CBG o cannabigerolo, il quale rappresenta un valido aiuto nella riduzione dell’ansia e delle sintomatologie legate ai disturbi ossessivo-compulsivi, disturbi post-traumatici da stress e depressione. Numerose tuttavia sono le ricerche scientifiche che hanno attribuito anche ai terpeni molteplici peculiarità e proprietà prettamente curative, dimostrandone in questo modo l’efficacia terapeutica: oltre ad influenzare il tipico odore del ceppo, possono di influenzare in maniera significativa anche lo stato di salute del soggetto. Dall’azione antimicrobica e antidolorifica, antinfiammatoria e antifungina, agli effetti benefici contro ansia, depressione e stress, fino ad arrivare alla capacità di migliorare l’umore agevolando il rilassamento.
Tuttavia la cannabis indica, rispetto alla sativa presenta di norma livelli più alti di CBD rispetto alla concentrazione di THC: questo rende il ceppo particolarmente indicato per uso terapeutico data la ridotta manifestazione di effetti prettamente euforizzanti. Risulta infatti utile nel favorire il rilassamento così come nella riduzione di nausea e dolori, promuovendo inoltre l’appetito e rivelandosi dunque indicata anche nel trattamento di eventuali disturbi alimentari.
Tuttavia come avviene per la marijuana in generale, è bene tenere presenti anche eventuali effetti collaterali, sebbene attribuibili prevalentemente al THC, che possono verificarsi a seguito dell’assunzione: i più comuni si manifestano sotto forma di secchezza oculare e delle fauci, paranoia, vertigini, stati d’ansia, letargia, aumento della frequenza cardiaca e ancora diminuzione della pressione sanguigna. Le varietà di cannabis indica più popolari sono tradizionalmente Hindu Kush, Afghan Kush e Granddaddy Purple, Northern Lights, G-13, Chronic, Mango e Afghani #1.
Differenze tra cannabis indica e cannabis sativa
Cannabis indica e cannabis sativa si differenziano tra loro per molteplici fattori a cominciare dalla zona di provenienza: la varietà indica proviene essenzialmente dalla regione Hindu Kush del Medio Oriente, Turchia, Marocco e Afghanistan mentre la sativa è tipicamente prodotta nelle zone equatoriali, in Colombia, Messico, Thailandia e Sud-est asiatico.
L’indica rappresenta la varietà di cannabis con la fioritura più rapida rispetto alla sativa anche se di contro presenta una fase vegetativa più lenta: la sativa agisce in maniera opposta e viene da sé che, presentando tempistiche di fioritura più lente ma crescita vegetativa al contrario rapida, i tempi medi per il raccolto appaiono quantomeno molto simili indentificandosi per l’indica tra le 6 e le 12 settimane mentre per la sativa tra le 8 e le 16 settimane. Le piante di indica appaiono fisicamente più basse, dalla caratteristica forma cespugliosa e contenuta in larghezza, la quale tende a svilupparsi prevalentemente grazie alle ramificazioni principali, particolarmente nodose e robuste.
Le foglie, costituite da sette sezioni lanceolate appaiono più estese e piuttosto rugose. Nella canapa sativa invece lo sviluppo prevalente avviene in altezza, la forma della pianta tende a svilupparsi verticalmente e le foglie, lievemente più vellutate, presentano una struttura più sottile e longilinea.
Anche gli effetti dati da cannabis indica e sativa possono essere differenti, sebbene l’assunzione di entrambe comporti azioni differenti e puramente soggettive: la cannabis indica tende a determinare prevalentemente un effetto sedativo mentre la cannabis sativa presenta un effetto euforizzante e stimolante. In dosi elevate il consumo di indica può addirittura comportare effetti soporiferi, mentre la sativa al contrario può conferire effetti quasi psichedelici.
Esistono per questo differenti terminologie utili a definire quelli che possono essere gli stati indotti dai differenti tipi di marijuana: lo stato indotto dall’indica si definisce stoned mentre per la cannabis sativa il termine appropriato è high.
Tuttavia la cannabis indica viene considerata prevalentemente sotto l’aspetto medico, terapeutico e farmacologico proprio in virtù della massiccia presenza di CBD a dispetto della concentrazione di THC al contrario piuttosto esigua. Essa comporta infatti rilassamento muscolare e mentale, una riduzione di nausea e dolore acuto, promuove l’appetito così come la produzione di dopamina responsabile della percezione del piacere e induce il sonno.
Può inoltre ridurre l’ansia, migliorare gli stati depressivi, aiutare nel trattamento del dolore cronico così incrementare il livello di attenzione e la creatività e ancora promuovere l’aumento della serotonina migliorando l’apprendimento e l’umore e riducendo la fatica.
Come capire se si tratta di canapa indica o sativa?
Cannabis indica e sativa presentano sostanziali differenze “fisiche” che permettono di distinguere con una certa facilità l’una e l’altra specie: tralasciando quelli che possono essere gli effetti, così come le peculiarità relative alla specie in termini di sviluppo, crescita e fioritura, esistono fattori puramente oggettivi che consentono di individuare la varietà di cannabis presa in esame, con un semplice “colpo d’occhio”.
Uno dei metodi più comuni per riuscire a distinguere le piante di cannabis indica da quelle di sativa è osservare la forma e lo spessore delle foglie: le piante di sativa producono foglie più lunghe e strette rispetto a quelle di indica che al contrario appaiono spesse e meno affusolate.
Tale caratteristica è data essenzialmente dalla capacità di adattamento della pianta a quelle che sono le tipiche zone di provenienza: Afghanistan, Pakistan, India e Nepal sono infatti accomunate da un’aria secca e piuttosto fredda tipica delle zone montane, motivo per cui le foglie hanno adeguato la loro caratteristica forma in modo tale da consentire un maggiore assorbimento della luce solare.
Al contrario la cannabis sativa ha dovuto sottostare a climi particolarmente umidi tipici di Messico e Colombia, dove prevale il rischio di formazione di muffe a carico delle infiorescenze: una superficie minore contente dunque di ridurre tale possibilità in maniera significativa.
Lo stesso aspetto generale delle piante aiuta a distinguere entrambe le varietà: le piante di indica appaiono più basse e dense di ramificazioni mentre quelle di sativa tendono a svilupparsi in altezza allargando i rami secondo ogni direzione possibile. In ultimo indica e sativa possono essere facilmente distinte anche mediante la caratteristica forma delle infiorescenze: nella canapa sativa appaiono sottili e prevalentemente allungate, soffici e ariose mentre nella cannabis indica, la forma caratteristica risulta densa e piuttosto affusolata, con una percezione al tatto piuttosto corposa e compatta.
Un’attenta osservazione delle due specie consente di distinguere l’una dall’altra piuttosto facilmente complici le differenze macroscopiche che intercorrono comunemente tra i due ceppi.
Storia e coltivazione della cannabis indica
Ad oggi risulta piuttosto difficile reperire ceppi di cannabis indica o sativa allo stato puro: l’afflusso di centinaia di nuovi incroci differenti hanno infatti contribuito a superare le linee genetiche originarie dando vita a un’infinita varietà di ibridi. Tuttavia entrambe le specie di cannabis sono conosciute da oltre 300 anni. Fu infatti il botanico svedese Carl Linnaeus a identificare per la prima volta le piante di cannabis sativa con effetti psicoattivi intorno alla metà del XVIII secolo. Solo 50 anni dopo, il biologo francese Jean-Baptiste Lamarck identificando la cannabis indica, riscontrò le molteplici differenze con la specie sativa, distinguendole per mezzo delle foglie: verde scuro, affusolate e spesse nella canapa indica, allungate e chiare e piuttosto strette nella specie sativa.
All'inizio del XX secolo, il botanico russo Dmitrij Janischewsky identificò invece una terza classificazione a carico della cannabis, la specie ruderalis, dedicandosi principalmente al ciclo di fioritura delle piante che, nel caso della cannabis sativa e indica può variare in funzione della luce disponibile e dei tempi di esposizione della coltivazione alla stessa.
Gran parte dei ricercatori tuttavia, attualmente concorda sul fatto che la differenza tra sativa e indica sia basata principalmente sulle modalità di crescita e sviluppo della pianta così come sugli effetti più o meno psicoattivi, mentre i coltivatori, basano tale differenza principalmente sull’aspetto delle piante, distinguendone facilmente ad occhio la varietà così come attraverso le modalità tipiche del ciclo di fioritura.
Approccio differente invece per quel che concerne i consumatori abituali di cannabis che presentano una percezione puramente soggettiva di quelli che possono essere gli effetti di una specie o dell’altra, fenomeno noto come effetto entourage il quale avviene in base alle differenti combinazioni di terpeni e cannabinoidi.
Di per sé infatti, il THC, principale elemento psicoattivo presente nella cannabis non determina alcun carattere specifico: a definire il profilo aromatico così come la complessità psicoattiva, sono di fatto le centinaia di sostanze chimiche contenute nella cannabis stessa, tra cui il CBD, terpeni e flavonoidi, entrambi presenti sia nella specie indica che sativa.
crmÈ per questo la somma equilibrata di tali elementi a determinare effetti e benefici della cannabis indica, fattore che esula senza dubbio da quelle che possono essere le differenti modalità di coltivazione, di sviluppo, di crescita e così come le relative caratteristiche fisiche e morfologiche della stessa.