Sono ancora allo stadio embrionale gli studi condotti su soggetti colpiti da fibromialgia e trattati mediante terapie alternative che prevedono la somministrazione di cannabis terapeutica.
Sembrerebbe infatti che proprio l’utilizzo della cannabis legale, e quindi dell’associazione di CBD e THC nel trattamento di tale patologia, non solo allevierebbe gli stati dolorosi, ma anche i sintomi ad essa associati, con un conseguente miglioramento della qualità del sonno nell’81% dei casi. Secondo le medesime ricerche, promosse dall’AISF – Associazione Italiana Sindrome Fibromialgica, durante tutto il periodo di trattamento non si sarebbe inoltre verificato alcun aggravamento della patologia.
Tutti i pazienti sottoposti alla terapia avrebbero dunque notato un miglioramento delle sintomatologie, già dopo sole 2 ore dall’assunzione, appurando una significativa riduzione della caratteristica rigidità: ridotti invece sono stati gli effetti collaterali, tutti di modesta entità, i più frequenti dei quali sono stati caratterizzati principalmente da sonnolenza, secchezza delle fauci, tachicardia e vertigini.
Sembrerebbe quindi che l’impiego della cannabis terapeutica nel trattamento di pazienti affetti da fibromialgia, ove le cure convenzionali non hanno sortito gli effetti auspicati, oltre a ridurre il dolore, migliorerebbe in maniera significativa anche la qualità della vita.
Sebbene tuttavia la marijuana italiana legale sia ancora lontana dal trovare la giusta collocazione in ambito terapeutico e farmacologico, i relativi effetti positivi sulla fibromialgia appaiono particolarmente confortanti: devono però essere eseguiti ulteriori studi e ricerche volti ad avvalorare e confermare quella che fino ad ora appare come una plausibile certezza.
Come usare la cannabis nella cura della fibromialgia
I pazienti che, loro malgrado, devono convivere con patologie invalidanti quali la fibromialgia, tra i vari sintomi tendono a percepire dolore e a manifestare sovente nausea e forti emicranie. Gli studi condotti fino a questo momento, sebbene siano pochi, e si siano principalmente focalizzati sugli effetti della cannabis e dei relativi estratti sulla fibromialgia, hanno dimostrato che tali sintomatologie possono essere ridotte proprio mediante l’assunzione dei principi attivi THC e CBD propri della marijuana: a suggerire tale tesi una ricerca condotta nel 2011.
Tale studio ha preso in esame soggetti che assumevano cannabis in alternativa alle terapie farmacologiche convenzionali e a specifiche sostanze chimiche.
Tuttavia un’ulteriore ricerca effettuata nel 2016 ha evidenziato come le testimonianze positive a disposizione fossero insufficienti per poter raccomandare concretamente qualsivoglia trattamento a base di marijuana nella gestione dei sintomi percepiti dai soggetti affetti da patologie reumatiche quali la fibromialgia.
Di contro, occorre tuttavia precisare che molte delle ricerche effettuate sono state condotte su pazienti che assumevano cannabis solo a scopo ricreativo, senza seguire dosaggi prettamente terapeutici. Restano tuttavia confortanti le prove che attestano come i principi attivi presenti nella marijuana aiutino a lenire il dolore cronico, la nausea, l’inappetenza, gli spasmi muscolari e tutte le relative manifestazioni associate a patologie quali la sclerosi multipla.
La cannabis terapeutica può senza alcun dubbio rappresentare una valida opzione anche per tutti quei pazienti colpiti da fibromialgia, questo poiché l’elevata concentrazione di cannabinoidi è in grado di conferire notevole sollievo, riducendo l’entità dei sintomi.
In particolare i principi attivi THC e CBD sono da anni oggetto di interesse da parte della comunità scientifica: il THC, proverbialmente psicoattivo e psicotropo, stimola infatti i recettori cannabinoidi nel cervello, attivando un “sistema di ricompensa” in grado di ridurre significativamente la percezione del dolore.
A differenza del THC, il CBD non è psicoattivo e non si lega ai recettori cannabinoidi ma si limita a bilanciarne gli effetti, comportandosi in questo caso da miorilassante.
Qual è dunque il dosaggio consigliato quando si parla di fibromialgia e cannabis terapeutica? In questi casi è sempre opportuno intraprendere una terapia a basso dosaggio per circa 7-10 giorni per poi incrementare gradualmente la somministrazione di principi attivi. Incerta la quantità di CBD e THC da somministrare: un importante indicatore per determinare il dosaggio massimo tollerato deriva dalla comparsa di eventuali effetti collaterali, in genere di lieve entità e identificati per mezzo di nausea, secchezza delle fauci, vertigini e tachicardia.
Le preparazioni galeniche a base di cannabis terapeutica ad oggi disponibili vengono somministrate sotto forma di tisana o decotto o per inalazione e vaporizzazione se si fa riferimento alla materia vegetale essiccata, somministrazione sublinguale qualora sia prevista la somministrazione di olio al CBD.
Usare l’olio di CBD per il trattamento dei sintomi della fibromialgia
La ricerca suggerisce che rafforzando il sistema endocannabinoide mediante la somministrazione di fitocannabinoidi quali il CBD, noto per le innumerevoli benefiche proprietà, è possibile ridurre le manifestazioni dolorose, associate a patologie invalidanti come la fibromialgia. Oltre agli studi a riguardo, sono innumerevoli le testimonianze di pazienti che hanno riscontrato giovamento assumendo regolarmente olio al CBD.
Il CBD olio può essere utilizzato secondo differenti modalità: può essere infatti assunto per via sublinguale a uso interno, o applicato in maniera topica sulle aree dolenti ove il paziente colpito da fibromialgia percepisca dolore acuto, massaggiandolo accuratamente e in maniera prolungata. Può essere assunto per via orale o in modo topico.
La somministrazione per via sublinguale implica invece l’introduzione di alcune gocce di olio al CBD sotto la lingua. In alternativa il CBD può essere somministrato anche sotto forma di compresse a base di olio di CBD.
Occorre tuttavia specificare che i metodi di assunzione possono rivelarsi puramente soggettivi in funzione delle preferenze del paziente. Il dosaggio consigliato varia in funzione dell’entità del disturbo e della manifestazione dolorosa: occorre tuttavia tenere sempre presente la concentrazione di CBD presente nell’olio in modo da calibrare al meglio la dose più indicata.
Ci sono effetti collaterali?
La somministrazione di cannabis terapeutica come trattamento alternativo ai farmaci convenzionali nei pazienti colpiti da fibromialgia in genere non prevede particolari e significativi effetti collaterali. Possono tuttavia manifestarsi disturbi di lieve entità quali emicrania, vertigini, senso di nausea, vomito, diarrea specie in caso di sovradosaggio, e ancora secchezza delle fauci, tutte manifestazioni che tendono a rivelarsi di breve durata e a risolversi in maniera del tutto spontanea.
Cannabis light e cannabis terapeutica: cosa dice la Legge italiana?
L’uso terapeutico di cannabinoidi e quindi di cannabis terapeutica in Italia è assolutamente legittimo, specie nei casi in cui le terapie farmacologiche convenzionali non abbiano sortito gli effetti desiderati.
Tale pratica risale ormai al 2006 quando sulla Gazzetta Ufficiale venne pubblicato il testo aggiornato del Decreto del Presidente della Repubblica del 9 ottobre 1990, n.309, nello specifico il DPR 309/90, “testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza”.
Anche il Governo unitamente al Ministero della Sanità, hanno successivamente autorizzato il trattamento, permettendo che tale terapia possa avvenire analogamente sia in ambito ospedaliero o in strutture a esso equiparate, sia in ambito domiciliare previa prescrizione medica, al fine di ottenere l’erogazione gratuita della preparazione galenica.
Lo stesso Ministero della Salute italiano ha stilato una lista nella quale sono menzionate tutte le patologie che possono essere trattate mediante la somministrazione cannabis terapeutica:
“La prescrizione di cannabis ad uso medico in Italia coinvolge (DM 9/11/2015) l’impiego nel dolore cronico e di quello associato a sclerosi multipla e a lesioni del midollo spinale; nella nausea e vomito causati da chemioterapia, radioterapia, terapie per HIV; come stimolante dell’appetito nella cachessia, anoressia, perdita dell’appetito in pazienti oncologici o affetti da AIDS e nell’anoressia nervosa; l’effetto ipotensivo nel glaucoma; la riduzione dei movimenti involontari del corpo e facciali nella sindrome di Gilles de la Tourette“.
Possiamo dunque definire tutto questo come un enorme passo avanti, destinato a rendere la marijuana italiana legale equiparabile a un farmaco dalla notevole efficacia e dagli innumerevoli vantaggi per l’organismo.