Le proprietà antidolorifiche e antinfiammatorie relative alla cannabis sativa sono ormai note e conclamate, ampiamente avvalorate dalla stessa comunità scientifica che da anni ormai ne esalta gli innumerevoli effetti benefici a carico dell’organismo, dovuti in particolar modo dalla presenza di CBD o cannabidiolo.
Tuttavia si tende a parlarne poco, se non in relazione al concetto di cannabis terapeutica: sporadiche e frammentarie sono di fatto le informazioni legate a tali proprietà e, proprio per questo abbiamo scelto di scrivere una breve guida a riguardo, in modo tale da affrontare l'argomento in maniera quanto più accurata e approfondita possibile.
Le proprietà antidolorifiche della cannabis
Il dolore cronico costituisce una recente problematica, peraltro di notevole entità, che colpisce la sanità pubblica, questo in virtù del progressivo invecchiamento della popolazione presente nelle Nazioni industrializzate. I dati ad esso associati sono a di poco scoraggianti: in Europa, il dolore muscoloscheletrico cronico di natura invalidante colpisce in genere 1 anziano su 4, mentre le cifre provenienti dall'Australia evidenziano come circa la metà degli anziani, di cui l’80% presenti nelle case di cura, soffra di dolore persistente. Negli Stati Uniti le risposte a un sondaggio promosso dall’ ABC News hanno invece evidenziato che il 19% degli adulti, circa 38 milioni di soggetti, presenta dolore cronico mentre il 6%, circa 12 milioni, ha utilizzato con successo la cannabis nel tentativo di lenire tale disturbo invalidante.
Anche in Italia, il Servizio Sanitario Nazionale incontra particolari difficoltà nella gestione di pazienti allo stadio terminale, affetti da dolore associato al cancro, dolore neuropatico e stati di dolore centrale quale ad esempio quello associato a sclerosi multipla, che vengono sovente trattati mediante oppiacei, antidepressivi e farmaci anticonvulsivanti, col rischio di scatenare possibili dipendenze.
I medici sono pertanto alla ricerca di nuovi approcci per il trattamento di tali condizioni, sebbene a preoccupare sia di fatto il sistema governativo, che di norma non consente la totale libertà nelle pratiche di prescrizione, come invece sarebbe auspicabile.
Certo è che l’impiego di farmaci a base di cannabinoidi, quali ad esempio il Sativex, nella farmacopea offrirebbe un approccio innovativo al problema della gestione del dolore cronico, offrendo nuove speranze ai pazienti, sebbene questo alimenti ulteriormente le controversie e i dibattiti politici.
Occorre tuttavia chiarire come assumere cannabinoidi, principi attivi presenti nella cannabis, significa interagire col sistema endocannabinoide, riducendo progressivamente infiammazioni e stati dolorosi cronici.
Nel 1988 fu identificato il primo recettore dei cannabinoidi CB1, seguito dal recettore CB2 isolato nel 1993. Entrambi i recettori tendono a coinvolgere sia il sistema nervoso centrale che il midollo spinale, così come il sistema nervoso periferico e proprio per questo, come riporta l’interessante articolo “Cannabinoids in the management of difficult to treat pain”, è stata ampiamente dimostrata la sinergia di attività che entrambi recettori cannabinoidi sarebbero in grado di svolgere. Il recettore CB2, sebbene comunemente segnalato come limitato ai tessuti linfoidi e immunitari, si sta infatti rivelando come un importante nella soppressione del dolore così come dei processi infiammatori.
Oltre ai recettori dei cannabinoidi, sono stati scoperti nel 1995 ligandi endogeni quali l’anandamide e il 2-arachidonilglicerolo o 2-AG presenti nei tessuti intestinali canoni e suini. Entrambi, secondo quanto condotto dalla ricerca, agirebbero a loro volta sui recettori accoppiati alle proteine G, determinando manifestazioni quali miglioramento della qualità del sonno, maggiore appetito e sostanziale riduzione delle infiammazioni, agendo in parallelo e interagendo al contempo con i principali sistemi di controllo del dolore endogeno quali le endorfine e il potenziale recettore vanilloide/transitorio (TRP), anch’esso infiammatorio.
È interessante pertanto notare come gli effettivi miglioramenti ottenuti in termini di manifestazioni dolorose siano da attribuire alla somministrazione di piante propriamente analgesiche quali la cannabis indica e sativa, data l’elevata concentrazione di THC e CBD.
La cannabis terapeutica come antidolorifico
L’impiego di preparati farmaceutici contro il dolore acuto e cronico è utile e spesso necessario: tuttavia spesso si tratta di terapie d’urto circoscritte solo a un breve periodo di tempo.
La cannabis legale rappresenta pertanto un alleato naturale nel trattamento del dolore cronico, in grado di incidere in maniera significativa sia sulla qualità della vita che sull’umore del paziente.
Innumerevoli sono infatti gli studi scientifici che hanno evidenziato i significativi effetti benefici del CBD o cannabidiolo, associato al THC o tetraidrocannabinolo, somministrati per mezzo di cannabis terapeutica nel trattamento del dolore cronico, questo proprio in relazione alla potente azione analgesica e antinfiammatoria che entrambi i principi attivi sono in grado di mettere in atto.
Secondo uno studio canadese, sono sufficienti tre puff di cannabis terapeutica al giorno, per alleviare i dolori neuropatici, condizione cronica che si manifesta per mezzo di bruciore, intorpidimento degli arti, formicolii e dolore costante di variabile entità. Un team di ricercatori di Montreal ha scelto di condurre un interessante studio sugli effetti della cannabis nella terapia del dolore, dopo aver scoperto che un esiguo numero di pazienti era solito assumere abitualmente varietà di canapa sativa o indica in associazione alle terapie farmacologiche convenzionali, riscontrando in questo modo notevoli miglioramenti.
Tale studio, condotto su un campione di 45 pazienti prevedeva la somministrazione causale di un placebo unito a una dose di cannabis con THC in concentrazioni variabili (2,5% - 6% - 9,4%): ogni paziente preso in esame ha pertanto assunto un campione alla volta, 3 volte al giorno, per cinque giorni consecutivi.
I risultati ottenuti sono stati a dir poco confortanti: secondo gli stessi pazienti, prendendo in esame una scala da 1 a 10, hanno visto una riduzione del dolore attestata a 6,1 a seguito del placebo, ridotta ulteriormente a 5,4 a seguito dell’assunzione di cannabis terapeutica ad elevate concentrazioni di THC.
Il team di ricercatori è giunto in tal modo a una conclusione, considerata ora più che mai una vera e propria certezza: la cannabis terapeutica detiene spiccate proprietà analgesiche, specie se associata a terapie farmacologiche convenzionali ad azione antidolorifica.
Tale ipotesi è stata successivamente avvalorata da un gruppo di ricercatori dell'Università di Ben-Gurion in Israele che ha selezionato un campione 2000 pazienti, colpiti da cancro e non, che erano soliti assumere cannabis per alleviare le manifestazioni dolorose, al fine di effettuare un sondaggio sul lungo periodo.
Dallo stesso, è emerso che il 99% dei partecipanti aveva deciso di provare la cannabis a fini terapeutici poiché le terapie farmacologiche convenzionali, non sortendo gli effetti desiderati, aveva generato delusione. Gli stessi ricercatori sono pertanto giunti alla conclusione che la cannabis non si era limitata a ridurre i dolori che colpivano i partecipanti, ma aveva al contempo contribuito a migliorarne l’umore in maniera significativa, alleviando al contempo altre sintomatologie. Solo un misero 10% avrebbe invece scelto di interrompere la terapia a base di cannabis. Tali informazioni così preziose aprono pertanto uno scenario più ottimistico, rendendo sempre più concreto l’utilizzo di cannabis terapeutica nel trattamento del dolore cronico e non solo.
Usare la cannabis per combattere il sovraffaticamento muscolare
La cannabis, e in particolare il CBD o cannabidiolo, principio attivo comunemente presente nelle infiorescenze femminili di cannabis sativa, risulta particolarmente apprezzato anche dagli sportivi, in virtù delle evidenti proprietà antinfiammatorie promosse dalla materia vegetale.
CBD e sport determinano pertanto un connubio perfetto: sembrerebbe infatti che proprio la cannabis sarebbe in grado di promuovere i naturali processi di guarigione, riducendo al contempo eventuali infiammazioni che tendono a colpire l’apparato muscolare.
Assunto una volta conclusa la prestazione sportiva, il CBD aiuta a favorire e a ottimizzare il recupero dell’organismo esattamente come si comporterebbe un integratore o supplemento alimentare di origine naturale. Allo stesso modo il cannabidiolo somministrato sotto forma di olio al CBD agisce in maniera inequivocabile sull’organismo, influenzando la risposta dei recettori che caratterizzano il sistema endocannabinoide: tale fattore appare pertanto indicato nel promuovere il recupero fisico e muscolare a seguito di un allenamento particolarmente intenso.
Tra i benefici dati del CBD associati allo sport, compare altresì la spiccata capacità di migliorare la qualità del sonno, riducendo di conseguenza l’eventuale insonnia.
Il riposo per gli sportivi è infatti di fondamentale importanza poiché influenza l’efficacia della prestazione in maniera determinante. Da non sottovalutare al contempo l’importanza del CBD o cannabidiolo in ambito sportivo in virtù della relativa azione analgesica: il principio attivo, esattamente come la marijuana terapeutica, permette di lenire efficacemente il dolore cronico così come eventuali patologie infiammatorie comportate da traumi sportivi, particolarmente frequenti in tutte quelle discipline che richiedono particolare potenza fisica e una certa aggressività.